Cannes rivendica i diritti delle donne

Moi aussi

di Marcello Moriondo

Cannes viaggia in controtendenza rispetto a un’Europa che sembra aver scelto la strada verso l’oscurantismo e la cancellazione di diritti fondamentali, soprattutto nei confronti delle donne.

La madrina del 77° Festival di Cannes, l’attrice Camille Cottin, ha inaugurato la manifestazione ricordando che il #Me Too non è morto e le donne devono ancora lottare per assicurarsi giustizia e pieni diritti. “Camille Cottin ha sfondato il box-office globale affrontando il più grande cattivo di tutti i tempi: il patriarcato”, ha dichiarato la presidente della Giuria, l’attrice e regista Greta Gerwig, realizzatrice e sceneggiatrice di film che hanno raccontato la donna in diverse sfaccettature, tipo Lady Bird (2017), Piccole donne (2019), Barbie (2023).

Lo stesso tema è stato affrontato da Juliette Binoche nel porgere la Palma d’oro alla carriera a Meryl Streep. Colonna sonora della serata, Modern Love do David Bowie cantato dalla cantante francese Zaho de Sagazan.

Non è un caso che ad aprire la competizione siano tre film significativi. Diamant brut di Agathe Riedinger presenta una diciannovenne alle prese con il mondo dei reality. Tra i vari pezzi spiccano La Campanella di Franz Liszt e La follia di Vivaldi. La jeune femme à l’aiguille dello svedese Magnus von Horn racconta il forte legame di due donne nell’ambiente delle adozioni clandestine. Ad inaugurare Un certain regard è stato il cortometraggio Moi aussi, di Judith Godrèche. #Moi aussi è corrispettivo francese dell’americano #Me Too. La regista, già attrice e scrittrice, dopo aver denunciato le violenze sulla donna nel mondo del cinema, ha raccolto 6000 testimonianze di vittime di violenza sessuale. Nel suo corto, interpretato dalla figlia Tess Barthélemy, mette in scena diverse di queste vittime d’abusi.

Parallelamente 100 personalità, capitanate dall’attrice Anna Mouglalis, tramite un documento da loro firmato reclamano una legge contro le violenze sessuali.

Sono molti i film in rassegna che mettono in primo piano l’immagine femminile, nel bene e nel male. Paolo Sorrentino ci racconta di Parthenope, uscita dalle acque per sedurre gli uomini, con molti pezzi vintage tipo Gino Paoli con Che cosa c’è, My Way da Frank Sinatra, Io sono il vento da Marino Marini, Era già tutto previsto di Cocciante, L’estate sta finendo dei Righeira e Valse triste di Sibelius. In Marcello mio di Christophe Honoré, Chiara Mastroianni, figlia di Marcello e Catherine Deneuve, diventa suo padre per un’estate. Durante questo percorso, ascoltiamo Luigi Tenco in Mi sono innamorato di te, Bobby Solo con Se piangi se ridi, Le notti bianche di Nino Rota, A Dean Martin di Fabio Concato e poi Rameau, Debussy, Brahms, Puccini, Sibelius, Wagner e altri. Coralie Fargeat ci racconta, in The Substance, dell’essere costrette, in quanto donne, ad apparire sempre giovani e desiderabili agli occhi del maschio dominante. Nelle musiche spicca At Last dalla grande Etta james. È indiano invece All We Imagine As Light, dove la regista Payal Kapadia racconta di una donna che cerca di sopravvivere ai fantasmi del passato. Il cinese Ja Zhang-ke vede una donna attraversare 20 anni d’amori trovati e perduti. Una neonata gettata da un treno diretto a Auschwitz è il dono prezioso del titolo: La plus précieuse des marchandises di Michel Hazanavicius. Furiosa sigla il ritorno di George Miller alla saga di Mad Max; protagonista di questa puntata è Anya Taylor-Joy. Maria di Jessica Palud riporta sullo schermo la figura di Maria Schneider e dei suoi dissidi con Bernardo Bertolucci, tra Psycho Killer dei Talkin Heads e Frédétic Chopin. Chantal Akerman ci racconta con ironia gli immigrati a New York in Histoires d’Amérique: Food, Family and Philosophy.

Cannes classics, rispolvera Gilda di Charles Vidor: come dimenticare Put the Blame on Me nell’interpretazione di Rita Haywort? Ma c’è anche Les Parapluies de Cherbourg, l’opera musicale romantica di Jacques Demy, con Catherine Deneuve e Nino Castelnuovo.

Anora dell’americano Sean Baker si è aggiudicato la Palma d’oro : racconta il riscatto di una prostituta, con un’ampia musica di repertorio, tra cui, mi ha sorpreso, le ormai disciolte T.A.Tu. The Seed of the Sacred Fig dell’iraniano Mohammad Rasoulof ha vinto il Prix spécial e ci mostra una tragedia che si svolge durante le manifestazioni delle donne in Iran. Il Prix du Jury è andato a Emilia Pérez di Jacques Audiard, che descrive il persorso di un boss del narcotraffico che decide di cambiare sesso e di conseguenza, redimersi. Un premio di gruppo alle attrici del film, Selena Gomez, Karla Sofia Gascon, Zoe Saldana e Adriana Paz, quello per la migliore interpretazione femminile.

LIBRI DI CINEMA nella Biblioteca di Isola di Fondra

CINEMA

BERGAMO FILM MEETING ’86. Bergamo. 142 p.

DAVID LEAN. A cura di Emanuela Martini. Bergamo, Cineforum, 2006. 95 p.

MARTIN SCORSESE. Roma, Audino. 70 p.

POWELL & PRESSBURGER. A cura di Emanuela Martini. Bergamo, 1986. 135 p.

ALBINATI, Edoardo / TIMI, Filippo

TUTTALPIÙ MUOIO. Milano, Rizzoli, 2019. 467 p.

ASSAYAS, Olivier / BJÖRKMAN, Stig

CONVERSAZIONE CON IGMAR BERGMAN. Traduzione di Daniela Giuffrida. Torino, Lindau, 1999. 103 p.

BECHT, Ovidie

PORNO MANIFESTO. Traduzione di Lorenza Paoli. Milano, BCD, 2007. 139 p.

BENIGNI, Roberto / CERAMI, Vincenzo

LA VITA È BELLA. Milano, Club degli Editori, 1999. 189 p.

BERTOLUCCI, Bernardo

ULTIMO TANGO A PARIGI. Torino, Einaudi, 1973. 120 p.

CIPRÌ, Daniele/MARESCO, Franco

LO ZIO DI BROOKLYN. Milano, Bompiani, 1995. 153 p.

COMENCINI, Cristina

PASSIONE DI FAMIGLIA. Milano, Feltrinelli, 1997. 171 p.

COMENCINI, Francesca

AMORI CHE NON SANNO STARE AL MONDO. Roma, Fandango, 2013. 184 p.

COUSTEAU, Jacques-Yves/DUGAN, James

VITA NEL MARE. Traduzione di Giorgio Monicelli. Milano, Garzanti, 1974. 315 p.

DE LUCA, Alessandra

MICHAEL CIMINO. Milano, Mondadori, 2005. 76 p.

DI LAZZARO, Dalila

L’ANGELO DELLA MIA VITA. Milano, Piemme, 2009. 178 p.

FARINOTTI, Pino

DIZIONARIO DI TUTTI I FILM. Milano, Mondadori, 1999. 1724 p.

FOFI, Goffredo

CAPIRE CON IL CINEMA. Milano, Feltrinelli, 1977. 373 p.

GAROFALO, Marcello

TUTTO IL CINEMA DI SERGIO LEONE. Milano, Baldini&Castoldi, 1989. 435 p.

KAZAN, Elia

AMERICA AMERICA. Traduzione di Vincenzo Mantovani. Milano, Club degli Editori, 1963. 175 p.

KEZICH, Tullio

IL NUOVISSIMO 1000 FILM.lano, Quintieri, 1921. 258 p.

KING, Stephen

LA TEMPESTA DEL SECOLO. Milano, Sperling & Kupfer, 2000. 432 p.

LIGABUE, Luciano

FUORI E DENTRO IL BORGO. Milano, BCD, 2007. 179 p.

LITTIZZETTO, Luciana / VALERI, Franca

L’EDUCAZIONE DELLE FANCIULLE. Torino, Einaudi, 2011. 105 p.

MAILER, Norman

MARILYN. Traduzione di Andrea D’Anna. Milano, Dalai, 2012. 310 p.

MEREGHETTI, Paolo

DIZIONARIO DEI FILM 2014. Milano, Baldini & Castoldi.

MONTALDO, Giuliano

MARCO POLO. Torino, ERI, 1982.

MORANDINI, Laura, Luisa e Morando

IL MORANDINI DIZIONARIO DEI FILM 2006. Bologna, Zanichelli, 2005. 1888 p.

NEPOTI, Roberto

BRIAN DE PALMA. Roma, L’Unità/IlCastoro. 1995. 123 p.

PARAVICINI, Sabrina

IO RAGIONO CON IL CUORE. Milano, Rizzoli, 2019. 245 p.

QUILICI, Fosco

L’AFRICA. Milano, Mondadori, 1994. 351 p.

SOLDATI, Mario

24 ORE IN UNO STUDIO CINEMATOGRAFICO. Palermo, Sellerio, 1985. 155 p.

SPAAK, Catherine

DA ME. Traduzione di Enzo De Michele. Milano, Bompiani, 1994. 217 p.

SPIELBERG, Steven

INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO. Traduzione di Francesco Franconeri. Milano, Mondadori, 1978. 204 pag.

TORNABUONI, Lietta

’98 AL CINEMA. Milano, Baldini&Castoldi. 1998. 216 p.

8 marzo 2021

Proposte di visione per la Giornata della Donna

di Marcello Moriondo

É passato quasi un anno dall’ultima proiezione del Cineforum All’Uci di Pioltello. Poi gli eventi pandemici ci hanno allontanati dalle nostre riflessioni cine-culturali.

Immagino sia stato per voi un anno difficile, come l’ho vissuto io. Del resto, il virus si diffondeva intorno a noi, a volte lontano, poi più pressante quando non incisivo nelle nostre vite.

Questo lungo esilio dalle sale cinematografiche non ha fermato la mia sete di conoscenza. I libri hanno circondato ogni angolo della mia casa; il computer non ha smesso di raccogliere parole che fiorivano dalla sua tastiera; lo stereo ha cadenzato, tramite il vinile, le ore in cui le mie dita impazzavano sui tasti; la radio mi ha tenuto informato sugli accadimenti; e naturalmente lo schermo cinematografico è stato sostituito dal digitale terrestre e dalle piattaforme online. Film e serie varie si sono succedute sul visore del mac oppure sullo schermo tv; nuovi blu-rai e vecchi dvd hanno riscaldato il lettore e antichi vhs hanno frusciato raccontando la loro storia.

Ora, come già in altre occasioni, non potendo proporre “in presenza” (piccola frase che ormai fa parte del nostro vocabolario quotidiano) film che possano dare un contributo alla Giornata internazionale dei diritti della donna, Non posso far altro che dare un consiglio di visione per opere in cui conosco un valore attinente a questa ricorrenza. Bene o male si possono trovare online.

Partirei da un film che faceva parte della stagione del Cineforum sospesa dal covid 19. Gli altri avrebbero potuto far parte delle successive edizioni di Lunedì al Cinema.

RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME di Céline Sciamma con Noémie Merlat, Adèle Haenel – Francia 2019, 120′

Miglior Sceneggiatura a Cannes 2019

Sciamma ci riporta nel 1770, per raccontarci una storia d’amore tra una pittrice e una nobildonna.

(Netflix, Amazon Prime)

PICCOLE DONNE di Greta Gerwig con Saoirse Ronam. Emma Watson – USA 2019, 135′

Dal romanzo di Louisa May Alcott

Una nuova versione, dopo le tre precedenti e il cartone giapponese. Forse quella che meglio descrive l’emancipazione della donna tramite la Alcott.

(Chili)

LA REGINA DEGLI SCACCHI di Scott Frank con Anya Taylor-Joy, Christiane Seidel – USA 2020. Mini serie televisiva.

Dal romanzo di Walter Tevis

Beth apprende il gioco degli scacchi nel sotterraneo dell’orfanotrofio in cui è rinchiusa da bambina. Questo gioco diventerà la sua forma di vita.

(Netflix)

EMMA di Autumn de Wilde con Anya Taylor-Joy, Mia Goth – USA 2020, 124′

Dal romanzo di Jane Austen

«Non potrei perdonare a un uomo di avere più musica che amore». La bella e sfrontata Emma esce dalle pagine e vola sullo schermo.

(Google Play)

LA BAMBINA CHE NON VOLEVA CANTARE di Costanza Quadriglio con Tecla Insolia, Carolina Crescentini – Italia 2021

Ispirato al libro “Il mio cuore umano” di Nada

La vorticosa e sofferta infanzia e la sorprendente adolescenza di Nada Malanima. Un difficile e meraviglioso percorso per una cantante cantante talentuosa.

(Rai Uno il 10 marzo 2021, poi su Rai Play)

ENOLA HOLMES di Harry Bradbeer con Millie Bobby Brown, Helena Bonhan Carter – GB 2020, 123′

L’investigazione non è un’esclusiva di Sherlock Holmes, ma anche della sua incomparabile e intraprendente sorella adolescente.

(Netflix)

STARGIRL di Julia Hart con Grace VanderWaal, Shelby Simmons – USA 2020, 107′

Dal libro di Jerry Spinelli

Il mondo degli adolescenti visto attraverso il fantastico scombussolamento che Stargirl (lei ha scelto di chiamarsi così) opera in un college.

(Disney+)

Un forte abbraccio (distanziato) e… BUONA VISIONE!

Manara tra Pratt e Fellini (dicembre 2007)

Intervista a Milo Manara

di Marcello Moriondo

Milo Manara, classe 1945, passeggia per Rimini, dove ha partecipato al convegno, organizzato dalla FONDAZIONE FELLINI, Federico Fellini: Il libro dei miei sogni. Milo, che recentemente ha ritirato il Premio Masi Civiltà Veneta a Pieve di San Giorgio in Valpolicella, è considerato soprattutto in Francia ma anche in Italia, tra i migliori illustratori e disegnatori di fumetti. Forse è entrato in questo mondo di fantasia grazie a Fellini, di cui ha seguito le orme dopo aver visto al cinema 8 e ½, nel 1963. Dalla prima pubblicazione noir Genius (1969) alla saga dei Borgia , realizzata con Jodorowsky, non ha mai smesso di disegnare. Dopo la prima parentesi erotica con Jolanda de Almaviva, collabora con Saverio Pisu, con cui crea Lo scimmiotto. Degni di nota HP e Giuseppe Bergman (omaggio a Hugo Pratt), il western L’uomo di carta, la cooperazione diretta con Pratt Tutto ricominciò con un’estate indiana, pubblicata su Corto Maltese. Poi, dopo varie pubblicità, fumetti e illustrazioni, finalmente, nel 1990, la collaborazione con Fellini: Viaggio a Tulum, cui seguirà Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Altre escursioni nel mondo del cinema le fa poi coi registi Pedro Almodovar, Alejandro Jodorowsky e Robert Rodriguez.

Una delle cose che Pratt ti rimproverava, era la difficoltà di rintracciarti, forse per i troppi impegni.

È vero, sia Pratt che Fellini mi hanno sempre rimproverato il fatto che io non telefono mai, perché ho una certa antipatia per i telefoni.

C’era una grande differenza tra il lavorare con Pratt e Fellini. Con Pratt c’era molto dialogo, la fiducia era totale. Lui mi dava la sceneggiatura con degli schizzi sopra, e mi ha sempre lasciato la regia, la messa in scena del fumetto. La storia era sempre un po’ mia. Con Fellini era il contrario. Voleva controllare ogni minimo dettaglio. Prima lui faceva gli storyboard, i disegni vignetta per vignetta, poi io facevo una brutta copia e gliela sottoponevo. Federico decideva ulteriori modifiche che io riportavo. Infine la bella copia, che era comunque il frutto di tre o quattro passaggi. Per me è stata una scuola enorme, anche se il lavoro è stato completamente diverso rispetto a Pratt. Hugo mi trattava come un collega, con Felini il rapporto era simile a quello che aveva col suo direttore della fotografia, col scenografo, il costumista. Io ero tutte queste figure messe assieme, il suo cast, e lui era il regista. Comunque a me andava bene anche così, perché mi piaceva sfruttare l’occasione di lavorare con il Fellini regista. Fu una scuola splendida ma molto dura, impegnativa.

Alla redazione di Linus arrivavano le tavole realizzate con Fellini. Come mai c’erano sempre delle variazioni dell’ultima ora?

Sì, c’era questo ulteriore dettaglio inquietante. Di puntata in puntata, Fellini mi diceva di aver ricevuto delle telefonate da esseri extraterrestri. Io rido ricordando le situazioni, non perché non ci creda. Credo estremamente in queste cose, ma per la situazione paradossale. A un certo punto, mi chiamava e mi diceva: “Milo, anzi, Milone, devi venire subito qui perché dobbiamo parlare di un cambiamento da fare sulla storia, perché ho ricevuto una telefonata.” Allora io mi precipitavo a Roma in corso Italia, a volte a casa sua. “Ho ricevuto una telefonata da queste voci che venivano da una distanza siderale, precisava, e mi hanno detto che in questa puntata bisognerebbe aggiustare qualche frase, perché stiamo andando in una direzione che forse non è proprio quella giusta.” Allora si ricominciava. Ricordandola adesso, per me è stata proprio un’esperienza da sogno, perché oltre alle sue personali considerazioni, c’era anche la valutazione esterna di questa entità inconoscibile che ogni tanto si faceva viva per commentare il progresso della nostra storia. L’unico aggettivo per descrivere quell’esperienza è: felliniana.

Per lui hai realizzato anche dei manifesti ufficiali.

S’, per gli ultimi suoi due film, Intervista e La voce della luna.

Insieme a Guido Crepax, negli anni Settanta e Ottanta, eri considerato un maestro dell’erotismo a fumetti. Qual era il tuo rapporto con lui?

Ho sempre avuto grandissima stima per Crepax. Peccato che l’abbia conosciuto molto tardi. Mi ricorderò sempre la commozione quando gli dissi di averlo sempre ammirato molto. Lui purtroppo era abituato a non essere molto considerato nell’ambiente del fumetto. Soprattutto negli ultimi anni, quando quel mondo era un po’ cambiato, incarognito, e Guido era considerato l’uomo del passato. Per me era veramente un genio e il fumetto in generale gli deve moltissimo. Quello italiano in particolare, per la sua proiezione nel mondo, in una misura che non si può neanche descrivere. Tempo fa c’era una rubrica, mi pare su Repubblica, dove volevano mettere due persone a confronto, per creare polemica, una specie di ring. Per l’inaugurazione a me avevano chiesto di essere l’antagonista di Guido Crepax. Io mi sono rifiutato. Dissi loro di non aver nulla contro Crepax, anzi, che era stato uno dei miei maestri. Guido l’ha saputo, evidentemente, e mi è stato molto grato, oltre che sorpreso. Ha dimostrato di avere apprezzato la cosa, perché allora si sentiva molto isolato. Per riassumere, il nostro era un ottimo rapporto.

La classica domanda finale di rito: cos’hai in cantiere?

Adesso, curiosamente, sto lavorando con un altro regista, anzi con due registi. Sul piano del fumetto sto facendo il terzo volume della Saga dei Borgia con Alejandro Jodorowsky. I primi due volumi sono già usciti, oltre che in Francia, anche in Italia. L’altro regista è quel Robert Rodriguez micidiale che ha fatto Sin City. Io sto fornendo disegni su richiesta sua e di Dino De Laurentis per Barbarella, che stanno realizzando.

Sarebbe un remake del film di Vadim?

Non lo chiamerei remake perché non ha niente a che vedere con ilo primo Barbarella, diciamo un sequel.

Altan il Grande

Intervista a Altan (1999)

di Marcello Moriondo

Francesco Tullio Altan nasce a Treviso nel 1942, studia a Bologna e frequenta Architettura a Venezia. Ma le sue aspirazioni sono diverse. Lavora come sceneggiatore e scenografo per cinema e televisione e inizia a pubblicare i suoi disegni. Nel 1970 si trasferisce a Rio de Janeiro, dove prosegue il suo lavoro per il cinema e crea il suo primo fumetto per bambini. Nel 1974 nasce Cipputi, il popolare operaio filosofo, personaggio festeggiato a Torino in occasione del venticinquesimo. Nel 1975, Altan torna in Italia con moglie e figlia brasiliane. Crea la Pimpa e subito il “Corriere dei piccoli” la pubblica. Nello stesso anno inizia la sua collaborazione con “Linus”, che prosegue tuttora. Di successo in successo, di premio in premio, ha continuato a occuparsi di fumetti, satira, sceneggiatura, letteratura. Le sue storie sono diventate cartoni animati e racconti televisivi (Pimpa), film (Ada, Non chiamarmo Omar), piece teatrali (Kamillo Kromo, Babar, l’elefantino bianco, Colombo) e le sue pungenti e puntuali vignette (Linus, l’Espresso) rimangono indispensabili per un lettore attento e ormai Altan-dipendente.

Le storie di Pimpa sono delle vere minifavole. come nasce il personaggio e come riesci a trovare sempre lo spunto per nuove storie?

Il personaggio di Pimpa è nato 25 anni fa, quando mia figlia (che sta per laurearsi) era piccolina. Era un gioco fra di noi, in cui mi basavo sull’osservazione diretta del comportamento della bambina e cercavo di assecondare la sua fantasia e la sua curiosità. In quel periodo ho imparato il “metodo” per inventare le storie, ed è quello che funziona fino a oggi.

Se non sbaglio avete un cane cui hai dedicato una storia disegnata.

Abbiamo una barboncina nana bianca che si chiama Paloma e sulla porta di casa un numero variabile di gatti in attesa di cibo.

So che stai preparando delle storie di Pimpa per la televisione con persone reali. Ne puoi parlare?

Stiamo realizzando il primo episodio di una futura serie per la Tv (Raisat ragazzi, per l’esattezza) in cui il personaggio di Pimpa, animato in tre dimensioni, “recirerà” con Armando in carne e ossa, interpretato da un vero attore, in un ambiente disegnato, che riproduce il mondo dei fumetti e dei cartoni animati di Pimpa, con piccole avventure e giochi.

Bompiani ha pubblicato una raccolta dei tuoi racconti a fumetti dal titolo “Romanzi sconvenienti. Perchè sono sconvenienti?

I “Romanzi sconvenienti” sono delle storie a fumetti per adulti, con trame piuttosto forti, ma grottesche e ironiche. “Ada” e “Macao” sono avventure esotiche, “Zorro Bolero” è una storia milanese ambientata in un futuro prossimo e poco roseo. “Fanny” è invece la piccola e sventurata eroina di terribili drammi familiari, da cui esce però intatta.

Cosa sono i “Libri-gioco” della Pimpa?

I “Libri-gioco” della Pimpa (PIMPAGIOCA con Tito e PIMPAGIOCA con Gianni) sono dei libri che sfruttano le possibilità cartotecniche offerte dalle pagine di cartoncino incollato a due strati, in cui si possono aprire finestrelle, inserire sagome, montare puzzle ecc. In questo modo il bambino può giocare esercitando anche una certa manualità.

Intervista a Vauro Senesi (1996)

IN BOCCA AL LUPO

di Marcello Moriondo

Pronto, Vauro? come va?

Questa è la segreteria di Vauro Senesi…

Ah, andiamo bene.

Che è successo?

Niente. Hanno votato in Senato il Governo Prodi.

Be’, era abbastanza scontato, no?

Sì. In compenso ho sentito il finale della dichiarazione di voto di La Loggia, di Forza Italia. Ha terminato augurando a Prodi “In bocca al lupo”.

Forse l’aveva detto anche a Brusca, recentemente.

Ogni tanto gli va bene. Sei contento di come vanno le cose politicamente?

Ho finito i festeggiamenti il giorno dopo le elezioni. Adesso si fa sul serio. Io personalmente mi sto divertendo moltissimo perchè finalmente posso fare una satira visceralmente anticomunista. Siccome sono comunista mi viene benissimo. Serve anche d’incitamento al governo di spostarsi a sinistra.

Della serie sputiamoci addosso?

Sì, ma non so se hai visto qualcosa di mio ultimamente. Un po’ di colbacchi, la libertà che non c’è più, i gulag dietro l’angolo. Quello che avrebbero dovuto fare loro e che non sanno fare. Siccome la satira, come sai, deve stare sempre all’opposizione, mi piace fare una satira beceramente anticomunista. Come se questo fosse un governo dei soviet.

Infatti. Sembri l’ispiratore di Sgarbi.

Però io son più bravino. E’ come se avessi dato corpo ai peggiori incubi della destra. Che per me, ovviamente, sono sogni. Io qualcuno nel gulag ce lo manderei veramente.

Qualcuno ci sta andando naturalmente.

Quello che non voleva fare prigionieri. Tanto per non fare nomi.

Poi quelli che recentemente inneggiavano alla libertà, come tutti i detenuti, del resto.

Per me questo è un momento d’oro della satira. Perchè c’è un governo che fa respirare un po’ d’aria di libertà. E alla satira fa benissimo.

Quindi rinneghi il classico “ridateci il nemico”.

No, quelle sono puttanate. Va benissimo così.

Vuoi aggiungere qualcosa?

Sì. In bocca al lupo.

Cars – Motori ruggenti di john Lasseter (2006)

Rosso McQueeen

di Marcello Moriondo

La Pixar si presenta con un’opera animata di alto livello. Inizia con la classica gara automobilistica in cui Saetta McQueen è vincitore assoluto (Il nome dato al personaggio è un’evidente omaggio al compianto Steve). A pochi minuti dal termine della gara, il cartoon cambia completamente genere. Da palloso film sportivo passa a una storia di amicizia e di formazione, dove la presuntuosa auto da corsa entra in un mondo che non ha mai conosciuto si guarda attorno, accorgendosi che non esiste solo il proprio ego e la propria gloria. Il pretesto è dato dal fatto che McQueen (doppiato da Massimiliano Manfredi, in originale Owen Wilson) dopo il rally si perde nel deserto e si ritrova a vagare sulla maledetta Route 66. Il cielo sul deserto è azzurro, disturbato solo dalle scie dei reattori, per l’occasione a forma di impronte di pneumatici. Saetta si trova in una città perduta, Radiator Springs, abitata da auto di provincia, che neanche sanno cosa sono le corse. Quasi tutte almeno. Non certo Luigi, la 500 gialla che tifa solo Ferrari, coadiuvato dal fedele Guido (doppiato da Alex Zanardi). C’è il furgone Volkswagen, con la scritta Peace, che offre il bio-carburante, ma le auto preferiscono farsi un quartino d’olio da Flo’s. C’è la Porsche viola Sally (voce Sabrina Ferilli), con un intrigante tatuaggio sottile sul didietro, nascosto dal cofano, che fa subito gli occhi dolci al forestiero. C’è anche Carl Attrezzi, detto Cricchetto, doppiato da Marco Messeri. Poi c’è il giudice, il vecchio Doc Hicks (negli Usa Paul Newman, da noi Pino Insegno), severo più che mai verso i bulletti dei really, e ne ha i motivi. Da giovane era un campione e l’ambizione l’aveva reso cieco e insensibile. Poi, un drammatico incidente gli ha aperto gli occhi e ha “appeso i numeri al chiodo”. Decide quindi una dura terapia rieducativa per Saetta, che coinvolge tutti. La sveglia al mattito è suonata alla tromba, poi parte l’inno americano. Carl Attrezzi gli dà le nozioni necessarie a crescere. Prima col lavoro, ma anche con il rito d’iniziazione del posto: andare nel campo dei trattori, che muggiscono come buoi, e spaventarli fino a farli ribaltare. Luigi gli trasmette l’amore per le auto, per tutte, non solo per se stessi. Sally gli mostra le meraviglie di Radiator Springs, che accoglieva innumerevoli visitatori prima che la nuova autostrada deviasse il percorso delle auto. Ma soprattutto gli trasmette l’amore.

McQueen, da sempre senza amici, dopo numerose resistenze impara la lezione e comincia ad affezionarsi a queste auto semplici e disinteressate. Toccherà a lui, in seguito, a contraccambiare la felicità ai suoi nuovi concittadini. Luigi corona il suo sogno incontrando la Ferrari (Michael Schumacher che doppia se stesso, e per gli appassionati c’è anche Mario Andretti), Doc alleggerisce l’amarezza che ha nel cuore, Sally sprizza sessualità e amore da tutta la carrozzeria, Carl Attrezzi si dà una ritoccata e rinverdisce il suo vecchio look.

John Lasseter, il creatore di Toy Story è da sempre un amante dei motori. Suo padre lavorava per una fabbrica d’auto, e gli ha trasmesso la passione. Questo amore sviscerato traspare in Cars, commedia dai buoni sentimenti, senza per questo cadere nel patetico, anzi, tutto è giocato in modo molto ironico. Inutile dire che l’animazione è d’avanguadia.

Rosso Cinema

all’ombra delle rosse bandiere (1996)

di marcello moriondo

è rossa la bandiera (in bianco e nero) dipinta a mano che gli ammutinati della corazzata potemkin innalzano, mentre i cannonieri dello zar rifiutano di bombardare la nave e gli ultimi dimostranti cadono sotto il fuoco della milizia sulla celeberrima scalinata del porto di odessa. nel 1926, quando ha girato “la corazzata potemkin“, sergej ejzenstejn non immaginava certo che il “secondo tragico fantozzi” avrebbe definito il suo film “una boiata pazzesca“, facendo rivivere a villaggio la tragica discesa in carrozzina sulle scale. più di una citazione/omaggio sono state fatte invece alla pellicola. nel 1974, in “sweet movie“, pierre clementi, indossando la divisa della potemkin, sale su un barcone che porta a prua la testa scolpita di marx e intona “bandiera rossa“. la più citata è la carrozzina: ancora clementi, complice stefania sandrelli, getta la carrozzetta giù per le scale, non di odessa, ma di roma, in “partner“, di bernardo bertolucci. zbigniew rybezynski ha inventato un surreale viaggio turistico al computer sulla scalinata di odessa. infatti in “steps” si vedono i turisti a colori che commentano e fotografano gli zaristi in bianco e nero che sparano sulla folla e la carrozzina che saltella sui gradini mentre la madre cade in un lago di sangue. e ancora una carrozzina senza controllo scende al rallentatore le scale di una stazione: siamo nel film “gli intoccabili” e l’omaggio arriva da brian de palma, con kevin costner che provoca la caduta della carrozzina e andy garcia che la salva con un abile tuffo.

le bandiere rosse della rivoluzione d’ottobre hanno percorso, nel bene e nel male, gli schermi di tutto il mondo, prima del muro, durante la guerra fredda, dopo il muro, per decenni. nella pellicola di david lean, omar sharif alias “il dottor zivago” guarda dall’alto della sua dimora le bandiere rosse sfilare al canto de “l’internazionale“, mentre la manifestazione viene repressa nel sangue dalle guardie dello zar. nello stesso film le bandiere rosse sventolano appese al treno di tom courtenay, mentre il treno del leader rivoluzionario sfreccia attraverso il paesaggio annevato. ancora “l’interazionale” cantata all’ombra delle bandiere rosse: è la rivoluzione d’ottobre scritta da un protagonista, john reed, l’amico americano di lenin, in “reds” (1981, tre oscar) di warren beatty. reed, il giornalista che ha scritto “i dieci giorni che sconvolsero il mondo“, è interpretato dallo stesso beatty, e jack nicholson indossa i panni di eugene o’neill.

bertolucci in “l’ultimo imperatore” (1987) ha intriso di bandiere rosse un’altra rivoluzione, quella culturale di mao, una coreografia splendida, quasi un balletto di drappi e libretti rossi alzati al cielo. già bertolucci aveva mostrato le sue bandiere in bianco e nero alla festa dell’unità nel 1964 in “prima della rivoluzione“. e nanni moretti nel 1981 trasporta un immaginario set per le strade di roma dove si gira un musical sul ’68 con bandiere e molotov a passi di danza in “sogni d’oro“. ancora il maoismo, i libretti rossi, la critica alla guerra degli americani in vietnam e l’esaltazione della rivoluzione culturale con le bandiere nelle foto e sui muri in “la chinoise” di jean-luc godard, del 1967. finzione e scene dal vero nel ’68 imbandierato di godard in “crepa padrone, tutto va bene” del 1972. marco bellocchio nel 1972 denuncia l’asservimento al potere dei mezzi d’informazione che negli anni 70 coprivano le nefandezze della cosiddetta “strategia della tensione“, mischiando anche lui vere e false manifestazioni con bandiere in “sbatti il mostro in prima pagina“. ancora le bandiere, quelle del primo maggio, arrossate ancor di più (se possibile nel bianco e nero) dal sangue dei manifestanti in una delle prime “stragi di stato”, compiuta per mano di “salvatore giuliano” nel bel film di francesco rosi del 1961.

e a riportare le bandiere rosse sullo schermo, nonstante la caduta del muro, la rilettura della storia, la perdita della memoria storica, l’appiattimento culturale, è l’inglese ken loach che ha raccontato la guerra di spagna con le bandiere alte contro il franchismo e il fascismo, i fazzoletti rossi al collo, con le molteplici contraddizioni dei vari schieramenti in “terra e libertà” nel 1995, vent’anni dopo “l’albero di guernica” del surreale fernando arrabal.

e infine la madre di tutte le bandiere: l’enorme drappo creato dall’unione delle bandiere rosse, sepolte durante il fascismo e disseppellite il 25 aprile, nella splendida coreografia fotografata nel 1976 da vittorio storaro per bertolucci in “novecento“.

bianca neve

bianca neve senza nani

di marcello moriondo

e la neve scende, bianca su di me” (brunella borciani, 45 giri, facciata a, 1983)

fiocchi di neve cinematografici, a memoria. i miei primi ricordi della bianca neve (intendo i fiocchi cristallini, non il derivato delle foglie di coca e nemmeno l’innocente compagna dei sette nanetti) nel bianco/nero proiettato sullo schermo, risale alla mia prima infanzia, probabilmente al cinema massimo di milano. è “la vita è meravigliosa”, di frank capra e james stewart corre gridando sotto la neve. il secondo ricordo è leggermente più inquietante, forse al carcano, dove sullo schermo, e nella neve, si formano le impronte via via che “l’uomo invisibile” di james whale tenta di eclissarsi, mentre involontariamente rende così visibile la sua presenza. ma non c’è solo il terrore. ricordo al cinema dell’oratorio della chiesa rossa “avventura a vallechiara” di john g. blystone, uno dei migliori film di stanlio e ollio, dove stan laurel è impegnato a carpire la botticella del rum a un san bernardo. dopo vari tentativi falliti, stanlio getta in aria delle piume bianche che gli ricoprono il corpo, per farsi ‘savare’ dall’improvvisata tormenta dal grosso cane, finalmente disponibile a cedere il suo prezioso collare. ancora le piume, fuoriuscite dai cuscini, che nevicano sulle teste dei colleggiali di jean vigo in “zero in condotta”. e “bambi” di walt disney, che scivola sul laghetto ghiacciato terminando la sua corsa in mezzo alla neve. poi la guerra. il “piccolo alpino” di oreste biancoli che si perde nella tormenta durante la prima guerra mondiale, riduzione di un racconto di salvator gotta. napoleone in ritirata dal fronte russo con le truppe che si estinguono nella gelida neve in “guerra e pace” di king vidor. il generale bambino che già in collegio dimostrava un ascendente per le strategie belliche giocando a palle di neve in “napoléon” di abel gance. i prigionieri denudati sul manto bianco dalla guardia bianca dello zar in “l’armata a cavallo” di miklos jancso, presentato a cannes col titolo originale “stellati, soldati” ovvero come inizia ‘l’internazionale’ in lingua ungherese. il treno della rivoluzione che sfreccia nella neve nel “dottor zivago” (cinque oscar) di david lean e lara/julie christie avvolta nella pelliccia che attraversa con la troica un paesaggio bianco e incantato. l’ennesimo scontro, nel gelido inverno di ridley scott ne “i duellanti”, migliore opera prima a cannes. bing crosby che canta “white christman” nell’omonima pellicola di michael curtiz mentre fuori la neve imbianca il natale. i contadini della bassa rivista da florestano vancini che mettono “la neve nel bicchiere” per farne una granita al vino. gregory peck tra “le nevi del chilimangiaro” di henry king, cercando di emulare hemingway. la nevicata esagerata di federico fellini in “amarcord”, oscar per il miglior film straniero. marcello mastroianni con sciarpa bianca, seduto sulla sua bugatti sotto la neve prima di compiere gli ultimi metri della sua vita in “la grande abbuffata” di marco ferreri, fischiato al festival di cannes. sophie marceau e vincent lindon nella cabinovia in “l’etudiante” di claude pinoteau. le rane che cadono a fiocchi in “magnolia” di paul thomas anderson. la nevicata di coriandoli nella scena finale di “strange days” di kathryn bigelow. la neve delicata nella locandina di “racconto d’inverno” di eric rohmer. “jesuit joe” di oliver austen tra le nevi canadesi, tentativo impossibile di portare i disegni di hugo pratt al cinema. i fiocchi attraverso la finestra che salvano la famiglia disperata di sandrine veysset in “ci sarà la neve a natale?”. la neve rarefatta che scende a coprire il ponte in “acqua tiepida sotto un ponte rosso” di shohei imamura, in concorso a cannes 2001. jack nicholson che rincorre danny nel labirinto innevato dell’overlook hotel in “shining” di stanley kubrick. le corse sui monti transilvani, ma soprattutto sharon tate che lascia il posto alla neve nella vasca da bagno dopo essere stata rapita dal vampiro in “per favore non mordermi sul collo” di roman polanski. la bara che contiene christopher lee che corre su una carrozza nei terreni imbiancati dei carpazi in “dracula il vampiro” di terence fisher. l’inseguimento di keanu reeves che tenta di raggiungere winona ryder e il suo ‘maestro’: la situazione è la stessa di quella precedente, il film è “dracula di bram stoker” di francis ford coppola, quattro oscar. e per finire ancora winona, che balla estasiata sotto la neve creata da “edward mani di forbice” di tim burton, mentre johnny depp scolpisce nel ghiaccio l’immagine della sua amata. catherine deneuve che affonda i piedi nella neve svizzera mentre tenta di raggiungere il confine con Jean-paul belmondo in “la mia droga si chiama julie” di françois truffaut, fino alla neve costruita sul set (come avviene in quasi ogni film) di “effetto notte”, oscar come miglior film straniero, sempre di truffaut.

The New World di Terrence Malick (2005)

Gli amanti del nuovo mondo

di Marcello Moriondo

Virginia (non ancora), 1607. John Smith (Colin Farrell) sbarca nelle “Indie” da uno dei tre velieri della London Virginia Company, che faceva poi capo a sua maestà britannica Giacomo I, ma sta per essere giustiziato tramite impiccagione con l’accusa di ammutinamento. Graziato dal capitano Newport (Christopher Plummer), viene inviato in missione lungo il fiume Chickahominy, per procurare rifornimenti, magari appoggiato da re Powathan (August Schellenberg), che domina sui Chickahominy, nativi di quella regione. L’incontro con il re dovrebbe servire anche a trattare la reciproca libera convivenza. Ma gli indigeni, che hanno già perso qualche uomo a causa della violenza dei coloni inglesi, eliminano i componenti della spedizione, catturano il capitano Smith e lo portano al cospetto del loro sovrano. Dopo essersi consultato con gli anziani, questi decide di giustiziarlo, ma grazie all’intervento provvidenziale della figlia prediletta del sovrano, Pocahontas (Q’Orianka Kilcher), gli viene risparmiata la vita. Da quel momento Smith entra nella leggenda e inizia la sua favola d’amore con la bella principessa.

Come già aveva fatto in precedenza, Malick usa la suggestione del pensiero raccontato, così scopriamo tutti i travagli interiori che guidano Smith verso il percorso che lo porta dall’avventura all’amore, fino all’accusa di tradimento pur di difendere la propria passione. Ma prendono parola anche i suoi sguardi muti, che ci illuminano sul suo stupore di fronte a una natura quasi incontaminata che l’affascina, sul suo innamoramento, oltre che per la bella principessa, anche per la vegetazione copiosa, i fiumi, i tramonti. Insomma tutto quello che riguarda l’ambiente, in questo caso ancora più affascinante perché appartenente a un mondo nuovo, sconosciuto, tutto da scoprire, e purtroppo da colonizzare. La lenta esposizione degli ambienti naturali è una cosa che il regista predilige, su cui si è soffermato molto anche ne I giorni del cielo ma soprattutto in La sottile linea rossa.

Smith riserva stupore anche alla gente nuova che incontra, e Malick racconta magistralmente l’episodio del primo contatto tra le due civiltà, quella inglese e quella pellerossa, che assumono quasi dei passi di danza, girandosi attorno, toccandosi con timore, annusandosi persino. Smith, che ha visto per la prima volta il nuovo mondo attraverso le sbarre di una finestrella della stiva, nella quale marciva in catene, ora non riconosce più il suo ruolo di soldato di ventura. La principessa indiana invece vede i nuovi visitatori arrivare con le loro navi, mentre corre tra i campi con uno dei suoi fratelli, impegnata in giochi ingenui e infantili, così come richiede il nome che le hanno dato: Pocahontas, cioè colei che ama giocare. Anche il suo pensiero si rivela, molto più semplice, legato a chi appartiene a una tribù pacifica, che non conosce la mercificazione, il valore che il vecchio mondo ha dato a una semplice pietra dorata. Il suo è lo stupore di incontrare cose che, essendo per lei nuove, non comprende, addirittura chiede cosa se ne fanno dell’oro, forse lo usano come cibo? Anche l’amore per lei è una cosa ancora sconosciuta, e seguiamo l’evoluzione delle sue emozioni sempre attraverso i suoi pensieri. Poi, come sempre accade, tutto precipita. C’è la separazione, l’umiliazione e i due amanti sono reietti da entrambe le comunità, mentre il colonialismo armato e l’occupazione mostrano il loro vero, oppressivo volto. Ma quello è un modo di vivere che non appartiene più a Smith, ce lo rivela la sua riflessione: Bisogna rinunciare a una vita falsa a favore di una vita vera, che è poi la filosofia esistenziale che ha appreso dagli indigeni, la pace e la serenità attraverso la madre terra, circondato dalle bellezze naturali del luogo, evidenziate dalla fotografia non artificiale del messicano Emmanuel Lubezki, lo stesso di Come l’acqua per il cioccolato e Sleepy Hollow. Smith impara che tutto quello che c’è sulla terra merita di essere amato.

Terrence Malick, regista dell’indimenticabile La rabbia giovane del 1973, ha scritto questa storia circa 25 anni fa ispirandosi al leggendario amore tra Pocahontas e il capitano Smith. Il regista, oltre a usare la musica originale di James Horner, ha scelto dei brani di repertorio classico suggestivi, che comprendono il Piano Concerto N° 23 di Mozart e soprattutto l’ouverture di L’oro del Renodi Wagner, che ci accompagna per buona parte del film.

Perfetta la ricostruzione storica, con indiani d’America arrivati a recitare da tutti gli States, compresi i discendenti dell’antica tribù dei Chickahominy, cui appartenevano Powathan e Pocahontas. Quest’ultima interpretata da un’esordiente, Q’Orianka Kilcher, la quindicenne figlia di un nativo, stavolta peruviano. Per il ruolo del romantico ambasciatore John Rolfe, Malick ha scelto Christian Bale, reduce dal successo di Batman Begins.