C’era una volta e forse c’è ancora

IL VERO E IL FALSO

di Marcello Moriondo

 C’era una volta a… Hollywood è ambientato nel 1969. Un titolo con cui Quentin Tarantino omaggia i film culto di Sergio Leone, ma anche le favole di Perrault. E forse proprio di una fiaba si tratta. Col gioco del “se” vediamo che il destino dell’attore televisivo Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e della sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt), s’incrocia con quello di Sharon Tate (Margot Robbie, che nel film indossa i reali gioielli di Tate), bellissima moglie di Roman Polanski.

Rick è diventato famoso grazie al telefilm western Bounty Law, una serie molto seguita. Cliff, oltre a essere la sua controfigura fissa, è suo amico e gli fa da autista, da quando hanno ritirato a Rick la patente.

Quindi Dalton e Cliff arrivano a Hollywood per girare un western. Per una strana combinazione, la villa di Dalton è a Bel Air, in Cielo Drive, accanto a quella dei coniugi Polanski che invece occupano la dimora dove vivevano Candice Bergen con il figlio di Doris Day, Terry Melcher, produttore musicale. Infatti Charles Manson e i suoi inizialmente puntarono su i precedenti inquilini, ma Doris Day, appreso che il figlio, insieme al batterista dei Beach Boys Dennis Wilson frequentava Manson, lo convinse a trasferirsi nel gennaio del 1969. Dalton e Booth arrivano a Cielo Drive con la Cadillac di Michael Madsen, già vista in Le Iene. Poi Cliff, con la Volkswagen che probabilmente ha guidato Uma Thurman al suono di Bang Bang in Kill Bill, raggiunge la sua roulotte nei pressi di un drive-in che programma La signora nel cemento di Gordon Douglas.

Rick si presenta sul set dove iniziano le riprese, filosofando con un’attrice ragazzina su un cinema in cui l’attore non si riconosce, e leggendo un libro che sembra raccontare la sua storia deprimente.

Intanto Cliff incontra e si scontra con Bruce Lee, vaga per la città, accompagna una ragazza al ranch in cui vive, cioè la Manson Family e riesce a scontrarsi anche con i componenti della setta.

Parallelamente Sharon vaga per una Hollywood intrisa di insegne e cartelli pubblicitari tutti colorati, poi entra in un cinema per ammirarsi sullo schermo nel film Wrecking Crew di Phil Karlson, tratto dai libri di Donald Hamilton.

Poi, tutti i personaggi nel film si amalgamano a meraviglia, sia quelli inventati da Tarantino, sia quelli esistiti realmente. Ma a chi si ispirano i personaggi fittizi e cosa hanno in comune con Sharon Tate quelli reali? Sicuramente Tarantino non ha lasciato nulla al caso. Grazie a un’accurata ricerca ha creato un puzzle di cui però nasconde qualche tassello.

Partendo da Marvin Scwarz, l’agente cinematografico interpretato da Al Pacino. Effettivamente in quegli anni esisteva un produttore con quel nome, e tra i suoi attori c’erano Rock Hudson e Kirk Douglas.

Rick Dalton potrebbe essere l’attore di telefilm western Ty Hardin, che ha recitato anche in alcuni spaghetti western, tipo Acquasanta Joe.

Cliff Booth potrebbe essere Hal Needham, regista, attore e stuntman di Burt Reynold, con cui aveva anche un rapporto di amicizia.

Alla festa di Playboy, realmente avvenuta in quel fatidico 1969, i coniugi Polanski incontrano Steve McQueen, Michelle Phillips, Cass Elliot e Jay Sebring.

Steve McQueen, in seguito alla strage di Bel Air, assunse una guardia del corpo per timore di essere ucciso, dopo aver scoperto di essere nella lista nera di Charles Manson. A causa di una lettera d’invito, in un primo momento passò la notizia che l’attore fosse tra le vittime. E Tarantino lo omaggia immaginando Rick Dalton al posto di McQuinn in La grande fuga. Inoltre il regista ha passato la brutta tosse di Steve nel carattere di Dalton. Del resto, vediamo Rick inserito anche nei film di Sergio Corbucci e Antonio Margheriti.

Michelle Phillips, membro dei Mamas and Papas,, era amica di Sharon, come “Mama” Cass Elliot, altra componente del gruppo.

Jay Sebring (una delle vittime di Cielo Drive) era l’ex di Sharon, un famoso parrucchiere, cui Hal Ashby s’ispirò per il personaggio di Warren Beatty in Shampoo. Beatty, cui Jay era molto amico, mise una taglia di 25 mila dollari sulla testa degli assassini.

Bruce Lee era molto amico dei coniugi Polanski. Aveva allenato Sharon per le scene di lotta in Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm, titolo orribile dall’originale The Wrecking Crew, pellicola che Tate visiona in un cinema di Hollywood nel film. Sul luogo dei delitti, fu trovato un paio d’occhiali che non apparteneva alle vittime. Qualche giorno dopo, Bruce Lee disse a Polanski di aver perduto i suoi occhiali. Per questo, in un primo momento, il regista sospettò che l’assassino della moglie fosse Lee. Tre mesi dopo, i veri responsabili furono individuati.

Musica d’epoca travolgente, a partire da Bring a little lovin’ dei Los Bravos, che Cliff ascolta in auto. Quindi immancabili Mamas and Papas, Paul Revere & the Raiders, Neil Diamond, Simon & Garfunkel con Mrs. Robinson, Joe Cocker, Rolling Stones, José Feliciano, 5th Dimension, Hush dei Deep Purple ascoltata dai coniugi Polanski sulla MG del regista, Vanilla Fudge, Aretha Franklin, Chad & Jeremy, Box Top, Cantori Moderni di Alessandroni e molti altri.

L’ufficiale e la spia

Il J’accuse di Polanski

di Marcello Moriondo

Non mi stancherò mai di rimarcare l’assurda trasfigurazione dei titoli scelti per la distribuzione italiana. In questo caso il titolo originale ricalcava quel classico storico e letterario J’accuse, che Émile Zola lanciò sulle colonne del giornale L’Aurore nel gennaio del 1889. Il titolo originale del libro di Robert Harris da cui è tratto è The Dreyfus Affair. Comunque prediligo lil forte effetto del titolo francese. Ma veniamo alla storia raccontata da Polanski.

Nella Parigi del 1894, il colonnello Georges Picquart (Jean Dujardin) assiste all’umiliante degradazione del capitano ebreo Alfred Dreyfus (Louis Garrel). L’ufficiale francese è accusato di tradimento per conto della Germania. Le tensioni internazionali erano altissime.Qualche decennio prima la Germania s’era impossessata dell’Alsazia e della Lorena e la Francia non l’aveva di certo presa bene. Solo cinque anni prima dei fatti qui narrati, nel 1889, ci fu il mandato d’arresto per complotto dell’ex ministro della guerra Boulanger, proprio nel mezzo della sfarzosa Esposizione Universale, lo stesso giorno dell’inaugurazione della Tour Eiffel. L’Expo era la testimonianza della grandeur francese, visitata tra gli altri da personaggi come Sarah Bernhardt, Buffalo Bill, Anatole France, Émile Zola, e osteggiata da una parte della cultura francese, come Guy De Maupassant e Paul Verlaine.

Poco dopo l’arresto di Dreyfus, Picquart fu promosso a Capo della Sezione di statistica del controspionaggio, la stessa che aveva incastrato Dreyfus. Quando si accorse che le informazioni riservate continuavano a passare nelle mani del nemico, il colonnello capì che ci doveva essere una nuova spia, oppure Dreyfus era stato condannato ingiustamente. Assistiamo quindi a queste sequenze parallele: il prigioniero, dall’Isola del Diavolo copre di lettere la moglie gridando la propria innocenza, Picquart passa in rassegna tutte le prove che hanno incolpato Dreyfus e incentiva le indagini sulle nuove informazioni di spionaggio. Scopre quindi la fabbricazione di prove false contro Dreyfus e il nome della vera spia. Il cinematografo stava per nascere, non era quindi in grado di raccontare l’attualità, ma la fotografia sì. Quindi non mancano le foto scattate all’Esposizione, come non mancano quelle che dovrebbero inchiodare il vero traditore. Ma la ragion di Stato consente il miserabile depistaggio, ad opera di personaggi che partono dai colleghi di Picquart fino a raggiungere il ministro della Guerra. Nessuno voleva che il “caso Dreyfus” uscisse dall’ambito militare, quindi cercarono di fermare il colonnello utilizzando anche meschini ricatti personali, coinvolgendo nella storia la sua amante, Pauline Monnier (Emmanuelle Seigner), una nobildonna sposata. L’ostinazione del colonnello fece sì che la cosa diventasse pubblica, soprattutto dopo che lui stesso venne condannato con l’accusa di aver falsificato le prove. È a questo punto che entrò in scena Zola pubblicando il famoso J’accuse. Lo scrittore elencava i fatti raccontatigli da Picquart, con nomi e cognomi. Un po’ come il nostro Pier Paolo Pasolini fece con il suo “Io so pubblicato sul Corriere della sera nel 1974, anche se senza nomi né prove.

Visto il livello di antisemitismo presente in Francia, ed essendo Dreyfus un ebreo, il mondo della cultura, come l’opinione pubblica, si divise in due e diversi scrittori e artisti si schierarono apertamente a favore di Dreyfus dopo il J’accuse di Zola. Tra loro si distinsero Octave Mirbeau, Anatole France, André Gide, Marcel Proust, Manet, Jacques Bizet. Mirbeau pagò la salatissima multa e il processo che condannò Zola per il J’accuse. Dieci anni dopo il J’accuse, Georges Méliès girò un corto di 11 minuti intitolato appunto L’Affaire Dreyfus, proprio a cavallo tra l’annullamento del primo processo e una nuova condanna a 10 anni di detenzione, non scontati perché ci fu la Grazia del nuovo Presidente della Repubblica, all’inaugurazione della nuova Esposizione Universale del 1900.

Il commediografo Renato Simoni (co-librettista della Turandot) intervistò i coniugi Dreyfus nel 1906, subito dopo la riabilitazione dell’ufficiale.

Polanski aveva già diretto un film di spionaggio tratto da un libro di Harris: L’uomo nell’ombra, 2010.