L’amore disperato è un elemento che ricorre spesso nel cinema francese. È una costante per Philippe Garrel. La sua opera è spesso intrisa di dolore e di morte. Il rigoroso bianco e nero da lui utilizzato accentua la visione in negativo dell’umanità da lui rappresentata. In L’OMBRE DES FEMMES (già il titolo…) sembra essere meno pessimista del solito, ma non per questo i protagonisti condividono un amore sereno. Tra tradimenti, sfuriate, cacciate e riconciliazioni, l’umore nero incombe in ogni fotogramma.
Come il padre, Louis Garrel non poteva mettere in scena un amore normale, per intenderci, nella quotidianità. In LES DEUX AMIS, interpretato dallo stesso Louis, c’è la donna contesa, misteriosa. Noi spettatori sappiamo perché. L’abbiamo vista uscire dal carcere per il suo permesso di lavoro giornaliero. Quando i due amici provocano il mancato rientro serale nell’istituto di pena, si scatena l’inferno. Due amici: uno innamorato perso della giovane “evasa”, l’altro che ha tradito l’amico portandosela a letto. Come nel film di Philippe la protagonista è cacciata di casa in malo modo. Anche qui, quindi, tradimenti sfuriate e riconciliazioni ma, a differenza del padre, Garrel figlio inserisce al dramma molto humour. Ci sono pure un paio di citazioni familiari: La scena della toilette che sembra uscita da J’ENTENDS PLUS LA GUITARE.
In MARGUERITE & JULIEN di Valérie Donzelli appare un’altra Garrel, Esther, figlia Philippe e sorella di Louis. È l’istitutrice che nell’orfanotrofio femminile racconta alle orfanelle, raccolte attorno a lei nel dormitorio, la leggenda seicentesca dell’amore incestuoso dei due fratelli de Ravalet. Un amore represso dai familiari, consigliati dall’ultra conservatore zio monsignore. La separazione forzata durante l’infanzia non produce alcun risultato e il ritorno di Julien, ormai adulto, riaccende la vecchia passione, che da infantile si trasforma in rapporto completo, sia sentimentalmente che fisicamente. In effetti pare si tratti di un dramma accaduto realmente ai fratelli Julien e Marguerite de Ravalet, decapitati nel 1603 a Parigi per adulterio e incesto. La storia ha ispirato nel 1882 Jules Barbey d’Aurevilly per il suo dramma UNE PAGE D’HISTOIRE. È stato anche un progetto scritto da Jean Grault per François Truffaut che la Donzelli ha fatto suo, dandogli un taglio assolutamente personale. Questo amore osteggiato ipocritamente dal potere monarchico e religioso, che è costato la testa ai due giovani protagonisti, tormenta e affascina le orfanelle che ne seguono l’evoluzione tramite le parole, forse menzognere, della loro istitutrice. Il tempo vissuto dai due fratelli vive cinematograficamente un’evoluzione secolare. La loro infanzia è vissuta tra cavalli e calessi, ma quando vengono arrestati alla fine è un elicottero delle forze speciali a raggiungerli. Ma la mannaia è sempre la stessa, implacabile e medioevale.
Che dire poi dell’amore quotidiano raccontato da Gaspar Noé in LOVE? Ho letto recensioni accattivanti; giustificazioni che ne farebbero quasi un’opera d’arte; “il coraggio disinteressato, che non pensa al botteghino ma solo alla sua visione interiore del sesso quotidiano”. Per favore! Io posso essere accusato di tutto meno che di moralismo, prova ne è il fatto che mi sono fatto trasportare dall’amore disperato dei fratelli de Ravalet, parteggiando spudoratamente per loro. Questo quando l’opera della Donzelli è stata massacrata dai colleghi soprattutto italiani. Certo, non posso dire che LOVE è un film noioso, il sesso esplicito in tutti i suoi risvolti riempie la scena per quasi due ore, circa il 90% della sua durata. Gli attori sono gradevoli d’aspetto, come si conviene in inquadrature del genere. La storia, questo amore disperato, raccontato in flashback a ritroso, un po’ come il regista già fece con IRREVERSIBLE, ha un senso narrativo, ma non basta a togliere i dubbi di esposizione pornografica gratuita atta a provocare, sì, ma soprattutto a richiamare spettatori assai curiosi (come la maggior parte degli accreditati a Cannes che non vedevano l’ora) in sala.